Cosa succede se vai alla mostra di un fotografo che conosci poco e quel poco che conosci non ti piace nemmeno?
Appunti sintetici sulla visita della mostra di Herb Ritts a Milano.
Forse il punto è proprio quello: conosci poco e per questo non ti piace: Ritts è un fotografo che d’istinto mi è lontano: come scelta dei soggetti, come tecnica, come cultura, poi scoprendolo nel suo percorso professionale ho trovato una “simpatia” in alcuni suoi passaggi professionali e in alcune opere.
Ora due citazioni che a mio avviso sintetizzano molto bene il modo di lavorare e lo stile di Ritts:
“Herb conosceva la luce naturale meglio di chiunque altro.
Gli piaceva, la capiva. Era una sua creatura.
Credo che con la luce naturale, e forse con una luce riflettente, lavorasse al meglio.[..]. Le sue immagini erano calde e belle perché era così che vedeva;
così era lui.”
(Richard Gere)
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“La prima volta che ho incontrato Herb […] pensavo fosse un vero imbranato. Devo dire che questa è stata la prima impressione di Herb. In ogni modo, è stata la prima volta che ho lavorato con lui senza sceglierlo e poi, poco dopo, mi sono trasferita a Los Angeles e mi sono imbattuta di nuovo in Herb e nel suo modo di fare così dolce e disarmante. Mi propose di lavorare ancora insieme e io accettai per la nostra prima vera sessione di foto insieme.
E’ stato allora che mi sono ‘herbificata’. Cosa significa? Significa più o meno questo: lui ti dice di andare in spiaggia. Poi ti dice di toglierti i vestiti, poi di ballare e rotolarti nella sabbia come un’idiota. Ti dice ancora di gettarti nell’oceano gelato e tu, prima ancora di accorgertene, ti sei scottata e poi gelata il sedere e sei certa di esserti comportata da perfetta idiota.
In breve, ho finito lo shooting promettendo a me stessa che non avrei mai più lavorato con lui… Poi però ho visto le fotografie e, ovviamente, ho cambiato idea. Così è stato l’inizio di una lunga e incredibilmente proficua relazione di lavoro. E anche l’inizio di una grande amicizia.” (Madonna)
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Ecco, Ritts mi è apparso così: un fotografo “tecnicamente essenziale”, amante dei grandi spazi, con una grande capacità di entrare in relazione con i soggetti e di giocare con loro.
Per chiudere, non è che Ritts sia diventato uno dei miei fotografi preferiti, preferisco ancora la poesia delle foto di Minor White o la “supertecnica” di Adams, ma penso di aver imparato ad apprezzare la sensibilità, l’originalità e la creatività di un grande “scultore di persone”.
M.G.
Per approfondire:
Recensione “il Padiglione d’Oro”
Presentazione mostra Ritts a Milano
GIU